Uno studio relativo ad uno screening mammografico realizzato in Norvegia e recentemente pubblicato in Archives of Internal Medicine(1), suggerisce che almeno 1 su 5 casi di tumore invasivo al seno possano spontaneamente regredire.  Lo studio comparava un gruppo di donne che avevano ricevuto 1 solo mammogramma al termine di un periodo di 6 anni (1992-1997), contro un gruppo di donne che avevano ricevuto nel corso di sei anni, ogni 2 anni una mammografia, nel periodo 1996-2001.

Il risultato inatteso è che il gruppo di controllo (1 sola mammografia in 6 anni) mostrava un’incidenza di cancro al seno di 1564 per 100 000 soggetti , mentre nella popolazione che aveva ricevuto 3 controlli mammografici, l’incidenza è di 1909 per 100 000 soggetti. E sembra che questa aumentata frequenza di cancro nel gruppo testato, non sia dovuta ad un potenziale effetto della mammografia, perché le frequenze intermedie (4 anni), sono sempre più alte delle frequenze nel gruppo di controllo. Escluse deviazioni o artefatti statistici (che noi conosciamo, avendoli subiti, come omeopati piuttosto bene), l’ultima ed unica conclusione degli autori è che il tumore al seno, in un numero significativo di casi, cioè in una donna su cinque possa regredire spontaneamente.

Implicazioni cliniche ed etiche si intersecano.
Se dallo studio appare che il 20% dei tumori al seno possono regredire spontaneamente, allora potrebbe anche essere che questo numero sia più elevato nella realtà. In effetti una mammografia positiva determina una sequela di controlli diagnostici che portano ad interventi clinici (chirurgia e chemioterapia). La conclusione degli studiosi nell’articolo citato “our findings simply provide new insight on what is arguably the major harm associated with mammographic screening, namely, the detection and treatment of cancers that would otherwise regress”, (la nostra scoperta dona nuove informazioni su quello che si può arguire sia il maggior danno associato con gli screening mammografici, nel caso di specie, l’identificazione ed il trattamento di tumori che altrimenti potrebbero regredire”) è significativa a tale riguardo. Il rischio che tali interventi siano più dannosi del semplice “wait and see” (aspetta e vedi) potrebbe rivelarsi un problema etico. Ad esempio, una sperimentazione in parallelo intervenendo soltanto sui tumori individuati nel gruppo di controllo, ma non nel gruppo test (quello in cui si potrebbero individuare i casi di regressione), secondo molti non sarebbe mai accettato da un comitato etico. Ed implicazioni deontologiche e legali potrebbero presentarsi al medico che sceglie, per e/o con il suo paziente, di aspettare. Di fatto, lo stato dell’arte della medicina accademica suggerisce di intervenire, nei casi di tumore, quanto prima possibile, ed è in qualche modo obbligatorio per il medico attenersi a tale filosofia. Allora cosa vale, sul piano etico di più, attendere per evitare sofferenze e danno in una parte significativa di donne affette, oppure intervenire sapendo che queste donne potrebbero in realtà non averne bisogno?
Esperti di etica dovrebbero rispondere, perché questa domanda è di fatto mascherata dalla prassi o filosofia interventista, che a sua volta è all’origine di molti eccessi o accanimenti diagnostici e terapeutici.

Le implicazioni sul piano della Medicina Omeopatica.
Ogni volta che viene curato un caso, qualsivoglia esso sia, con l’uso della Medicina Omeopatica, è la biologia dell’organismo che sul piano fisico ristabilisce l’ordine e la salute. La regressione “spontanea” della malattia è il processo fisiologico atteso dall’omeopata. La legge di Hering, secondo cui, quando i sintomi del malato si esternalizzano, e vanno dagli organi più essenziali a quelli meno essenziali, e dall’interno verso l’esterno, non è null’altro che la descrizione fenomenologica di un processo di regressione della malattia. Ogni medico omeopata lo ha visto e lo sa. La reversione dei sintomi morbosi, ed il ritorno di vecchi sintomi nel malato, sono indicazioni, le più significative, per l’omeopata per essere certo che quel malato è in via di guarigione. La medicina antica non riconosce questo importante fenomeno di eliminazione progressiva del danno interno. Una risposta etica e scientifica alla osservazione di “regressione” spontanea di una qualsiasi malattia, potrebbe essere l’osservazione di segni, sintomi che indicano la direzione della Legge di Hering. Molte altre malattie di cui “la cura” immediata è imperativa, potrebbero rivelare un alto numero di reversioni spontanee. Se qualcuno è interessato, siamo qui.

(1) Per-Henrik Zahl, MD, PhD; Jan Mæhlen, MD, PhD; H. Gilbert Welch, MD, MPH. The Natural History of Invasive Breast Cancers Detected by Screening Mammography. Arch Intern Med. 2008;168:2311-2316, 2302-2303.