Nell’immaginario collettivo moderno, la figura del medico viene rappresentata come un “soggetto obiettivo, scientifico e neutrale”. Il medico stesso ha la tendenza ad auto-definirsi in questi termini. Per un sociologo esistenzialista interessato alla post-modernità, come me, risulta più realistico cogliere la figura del medico in relazione ad altre figure in un contesto, come per ogni esistenza umana.

Infatti, le sottostanti immagini verbali, relative a situazione paradossali della quotidianità, rappresentano il medico clinico d’oggi come una persona
§         esposta ad un flusso continuo di informazioni riguardanti i meccanismi che determinano la salute e la malattia, assediata da protocolli burocratici e terapeutici, con apparente autonomia ma sotto sorveglianza operativa e fiscale;
§         che cerca di conciliare il mondo di una medicina tecnologicamente re-inventata nella seconda metà del ventesimo secolo, che definisce il paziente medianti aggregati statistici, categorie e procedure, e il mondo parallelo del paziente come individuo appartenente ad un ambiente familiare e sociale;
§         accerchiata da speranze di guarigioni basate sulla tecnologia e dai costi crescenti di queste pratiche;
§         che presta il suo volto ad un mercato reso euforico dalla promessa efficacia terapeutica e, paradossalmente, realizza il declino di attendibilità della professione medica;
§         al centro di uno spettacolo mediatico di annunci di svolte scientifiche, di scoraggianti ricorrenze di disfunzioni, di droghe immesse nel mercato e di denuncia degli inaspettati effetti avversi, di conflitti di interesse tra industria farmaceutica ed esercizio della professione, di epidemie che, ironicamente, sembrano ricollegarsi con alterazioni riportabili alla modalità di crescita economica;
§         che deve affrontare le critiche rivolte ad una medicina vista oggi come una pratica esercitata in modo affrettato, impersonale, orientata al profitto, frammentata e tecnologicamente dipendente;
§         scomoda nel ruolo che la nuova medicina e la sua gestione le fanno agire di fronte ad un paziente ogni giorno più scomodo anche lui nel suo ruolo di aggregato statistico e obiettivo di una retorica disgiunta circa la comunicazione e la persona;
§         nella quale si incarna il paradosso di una aspettativa medica irrealistica e l’imperfezione quotidiana.

In definitiva, ogni sguardo del sociologo sulla figura del medico clinico sembra imbattersi in un paradosso che sintetizza la relazione tra medico e società, tra la figura del medico e una crescente burocratizzazione di una medicina dominata dai referti di laboratorio e orientata, necessariamente, al profitto, in quanto parte di un sistema.

Su questo nostro presente malessere bisogna riflettere in quanto la medicina rimane ancora ciò che sempre è stata: un intenso sforzo personale per trattare il dolore e l’incapacità di un essere umano. A quanto pare si richiederebbe, per il suo superamento, ripensare alle nozioni di malattia e efficacia terapeutica e rivedere il ruolo particolare del medico e delle sue responsabilità nel sistema della cura.

Ciò che il mio sguardo da sociologo coglie è una crisi di autorità e di controllo, una crisi di valori e di orientamenti che obbliga a una re-definizione dei concetti di medicina come cura della persona, come scienza applicata, come oggetto di politiche pubbliche e come attore nell’economia di mercato, e ad una re-definizione delle peculiari responsabilità della figura del medico oggi e che appena 100 anni fa si recava alla casa dei malati.

L’immagine che raffigura le decisioni terapeutiche prese in uno spazio intellettuale disincarnato è irrealistica. Anche il medico clinico, come il giornalista cronista degli “spettacolari” campi di battaglie contemporanei, è “embedded” in un complesso di interessi istituzionali, intellettuali, governativi e corporativi nel quale tutti, medici e pazienti, abbiamo deposto la speranza di essere liberati dal dolore e dalla morte prematura.

La medicina non è biologia pure se applica i referti di laboratorio che questa scienza applicata fornisce e che le consente di legittimarsi. La medicina non è nemmeno solamente un attore economico. La medicina ha invece un’identità, quasi sempre denegata, come capita ad ogni personaggio della rappresentazione, definita dalla storia della sua morale e del suo ruolo sociale.

Il mio auspico è che questi appunti-spunti di riflessione costituiscano un argomento cumulativo per pensarecirca il modo in cui curare non è riducibile a procedure tecniche e meccanismi molecolari, pure se questa conoscenza rimane indispensabile, per pensare e organizzare, insomma, la medicina come una funzione, essenzialmente, sociale. Ciò potrebbe aiutare al singolo medico a collocare, con consapevolezza, la sua figura e prassi nel mercato della società post-moderna