Lo vediamo tutti, e se prima dicevamo che non ci sono più le stagioni, oggi forse iniziamo a dire che nel giro di qualche giorno le possiamo vedere tutte. Al caldo sole del periodo si alternano giornate di tempesta.

Le temperature cambiano e passiamo dal caldo al freddo, escursioni termiche di decine di gradi in pochi giorni. E non sappiamo più come e quando partire in vacanza.

 

Queste alternanze sono lo specchio, i sintomi dell’effetto serra, dell’aumento dei gas serra, anidride carbonica in primo luogo. Questi gas formano una cappa che fa da specchio ai raggi solari.  Provenienti dal sole, cadono sulla terra e da essa sono riflessi, ma, a causa di questa cappa, invece di tornare nello spazio, rimangono intrappolati sulla terra.  Di conseguenza si verifica un incremento della temperatura sulla superficie terrestre. L’aumento della temperatura fa aumentare a sua volta l’evaporazione per cui aumenta la nuvolosità.  La nuvolosità a sua volta filtra i raggi del sole impedendo loro di raggiungere la terra, l’aria si raffredda e viene a piovere. Finite le piogge, svuotato il cielo, il ciclo ricomincia. Questo avviene in pochi giorni, e noi viviamo, soprattutto nei periodi caldi, questo penoso alternarsi di caldo e freddo. A causa di questo ciclo freddo caldo, diventa molto più frequente la formazione di cicloni e trombe d’aria con gli effetti devastanti che stiamo conoscendo.

 

Ci sono e ci saranno certamente conseguenze sulla salute, a meno che la nostra specie non sia capace in pochissimo tempo di adattarsi.

 

Nonostante vi siano ancora discussioni accademiche se e come l’aumento dei gas serra dipenda dagli uomini o da un ciclo geologico della terra, grandi organismi internazionali, ONU, Europa, ammettono che siamo noi una parte del problema. Ogni anno immettiamo in atmosfera centinaia di migliaia di tonnellate di gas serra, bruciando petrolio per fare elettricità, per andare in macchina e aereo. Non solo, attraverso l’industria chimica e alimentare siamo in grado di acidificare l’aria e riempirla di sostanze che mettono molto tempo ad essere riassorbite dalla stessa terra.

 

Se l’industria automobilistica, anche se a passo di lumaca, sta facendo qualche sforzo di riduzione della CO2, e nell’industria alimentare il concetto del biologico come strumento di riduzione dell’inquinamento prende sempre più piede[1] (basta alimentarsi una settimana con cibi biologici per eliminare completamente i pesticidi derivanti dagli alimenti che inquinano il nostro corpo[2]), purtroppo l’industria chimica ha fatto ben poco per ridurre la propria capacità di inquinamento. E non parlo dell’industria che sta lavorando a una chimica “verde” che per il momento fa briciole.

 

Parlo soprattutto di quello che conosco, dell’industria farmaceutica. Purtroppo il ricatto della salute a tutti i costi ottenuta solo attraverso le medicine crea una specie di cerchio infernale del mondo farmaceutico. Questo cerchio in cui il farmaco è l’aspetto più evidente, dipende da una visione “politica” sbagliata della salute. La filosofia per cui salvare una vita imbottendola di farmaci è un’opzione accettabile per tutti, ha un costo ambientale elevatissimo. In questo una parte importante la fa il terrore dell’autorità amministrativa che non vuole responsabilità e che quindi spinge per sistemi sempre più complessi che fanno aumentare l’effetto serra.

 

Il sistema salute è complesso e le interazioni tra i diversi partner sono spesso oscure, se non oscurate.  Nel sistema ippocratico, il medico era quel soggetto centrale che ti accompagnava nel cammino della tua cura, e che pensava prima all’igiene e all’alimentazione, infine al medicinale. Oggi la maggior parte dei medici ha rinunciato all’idea ippocratica di prendersi cura del paziente sul piano dell’alimentazione e dell’igiene di vita. Oggi un medico prescrive test diagnostici e medicine. Provocatoriamente direi che il passaggio sia avvenuto quando la nutrizione è diventata una specialità medica e l’igiene di vita è stata male interpretata come scelta etica. Nessun medico oggi è capace di realizzare e farci comprendere che quello che mangiamo costruisce il nostro corpo. E che il nostro corpo diventa quel che della nostra vita facciamo. O meglio lo sappiamo oramai tutti, ma nessuno ha ancora il coraggio di dire che prescrivere ad un paziente di cambiare la propria vita a volte può essere più importante che prescrivere una medicina. Questo è il punto. I medici e gli specialisti ti dicono che devi migliorare l’alimentazione, che devi cambiare vita, ma sembrano attribuire al medicinale l’unica vera virtù salvifica.  Io credo invece l’idea della prescrizione nasconda una profonda problematica del modo in cui si costruisce la professionalità del medico. Se non prescrive:  1) sente di non essere medico, 2) rischia sul piano deontologico la negligenza professionale.

 

Certo ci sono anche i pazienti che sono insoddisfatti del medico che non li ha imbottiti di medicinali. Eppure io ritengo che prescrivere un regime alimentare, modificare l’igiene di vita di un paziente è la migliore prescrizione che un medico possa fare, e so che con il tempo anche il paziente che prima voleva tante medicine poi cambia il proprio modo di vedere e viver la propria vita.

 

Il medicinale, oltre ad avere il suo ruolo proprio, rappresenta il perfetto transfert di responsabilità. Prescritta la medicina, il paziente è curato (non guarito, curato), il medico è deontologicamente e legalmente soddisfatto, e la casa farmaceutica felice di aver venduto la sua medicina. E così il sistema sanitario collassa finanziariamente, perché spesa dopo spesa, a questo circolo vizioso non si può porre fine. A partire dai cinquant’anni, diventiamo consumatori quasi abituali di medicinali, proprio perché i fattori di rischio si moltiplicano ed usiamo i medicinali come caramelle.

 

Qualche tempo fa il nostro attuale Ministro della Salute diceva, in un’intervista al giornalista che gli domandava cosa avrebbe fatto per migliorare il buco finanziario del sistema sanitario – ripeto a memoria – Ma sa che per guarire certi tipi di diabete basta camminare per un’ora al giorno senza farmaci? Anche il nostro Ministro della Salute ne era al corrente!

 

Al diabete, possiamo aggiungere l’obesità, molti disturbi cardiovascolari, alcuni tipi di cancro, asma, possono essere trattati se non esclusivamente, in gran parte con la modificazione di abitudini alimentari e igieniche. Che altrimenti richiedono medicinali a vita.

 

E così stiamo parlando di alcune delle malattie più diffuse sulla terra. E sono malattie in cui il fattore ambientale incide moltissimo. A queste potremmo anche aggiungerne altre che spesso dipendono da un’alimentazione sempre più squilibrata e da un cibo sempre più povero di nutrienti.

 

Il punto è che a questo enorme sistema di prescrizione – fabbricazione – rimborso di farmaci, non ha soltanto un impatto sulle persone che decidono di seguire questo percorso, ha un impatto su tutti noi e sull’atmosfera. L’industria farmaceutica è la più inquinante in assoluto, perché oltre all’inquinamento prodotto al momento della fabbricazione, i residui dei medicinali che prendiamo e che in parte per fortuna eliminiamo, vanno tutti a finire nei sistemi collettivi di discarica. E non esistono al momento sistemi di purificazione e di analisi delle acque dai residui medicinali.  Si aggiunga che le autorità sanitarie, preposte alle verifiche della fabbricazione e l’immissione in commercio dei medicinali, spingono le aziende a creare delle condizioni di produzione che, applicate ciecamente, per pigrizia mentale, facilità e ottusaggine,  ad ogni tipo di medicinale, non fanno altro che incrementare l’uso di strumentazioni, la cui produzione richiede una enorme quantità di energia – ad esempio plastica ed acciaio.  Il risultato è che per ottenere quindi un medicinale sedicentemente purissimo, si aumenta enormemente l’inquinamento da gas serra.

 

Eppure la spirale potrebbe essere facilmente contenuta. Un primo passaggio potrebbe essere quello di  codificare il regime alimentare e igienico come una prescrizione per quelle patologie che soltanto un cambiamento di regime di vita potrebbe dare.

 

Se i regimi fossero codificati, il regime entrerebbe nel protocollo riconosciuto ed il medico non rischierebbe più legalmente. Valga lo stesso ragionamento per l’igiene di vita.

 

Invece di spendere soldi per i farmaci, essi si spenderebbero per il personale di ausilio come trainer e nutrizionisti.

 

In questo anche la Medicina Omeopatica sarebbe di aiuto. Con il suo bassissimo impatto ambientale (anche se le autorità stupidamente applicano per l’omeopatico le stesse regole del medicinale convenzionale e quindi obbligano le aziende ad inquinare inutilmente il pianeta) potrebbe essere di ausilio in questa oramai necessaria guerra al riscaldamento globale.

 

Infine un cenno è necessario per quello che oggi viene chiamata ricerca scientifica bio-medica. La scoperta, per definizione è un risultato non prevedibile. Si investono molti quattrini per ottenere spesso molto poco in termini di risultati per la salute. Molti finanziamenti sono mascherati da finanziamenti con lo scopo di salvare vite, ma in effetti mirano alla comprensione di meccanismi di base dei processi biologici. Il punto è che la ricerca è di per sé molto inquinante, e ancora una volta, non ci sono investimenti fatti con lo scopo di ridurre la sua capacità inquinante, perché siamo di nuovo all’interno del paradigma “tutto si fa per salvare una vita”.

 

Certo il progresso è necessario, ma sappiamo tutti che le aree dove si progredisce di più sono le aree dove arrivano più finanziamenti. Oggi, forse, come collettività potremmo decidere di ridurre consapevolmente i finanziamenti per molta ricerca bio-medica e metterne molti di più nella ricerca dei sistemi di riduzione dei gas a effetto serra in tutte le discipline biomediche, con la consapevolezza di stare seriamente lavorando per prevenire le malattie le più frequenti del pianeta.  

 

  

Vincenzo Rocco

 


 

[1] Anche se c’è ancora molta strada da fare, soprattutto con l’industria alimentare di massa

 

[2] Oates L1, Cohen M2, Braun L3, Schembri A4, Taskova R5.  Reduction in urinary organophosphate pesticide metabolites in adults after a week-long organic diet. Environ Res. 2014 Jul;132:105-11.

http://dx.doi.org/10.1016/j.envres.2014.03.021